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L'isola di Sachalin

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First publication year: 1895

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'Per quanto si riferisce a me, non provo appagamento alcuno per il mio lavoro, perché lo trovo meschino' scriveva Cechov all'amico Suvorin nel 1888. 'Se è ancor troppo presto per lamentarmi, non lo è mai abbastanza per domandarmi: mi occupo di una cosa seria o di sciocchezze?'. Il viaggio che, armato solo del passaporto e di una tessera di corrispondente di 'Novoe vremja', intraprenderà  due anni più tardi per studiare la vita dei deportati nella colonia penale di Sachalin è la drastica risposta a questo interrogativo. Sbarcato ai confini del mondo, in un luogo dove Puskin e Gogol' sono incomprensibili e inutili e 'l'anima è invasa da quel sentimento che, forse, ha già  provato Odisseo mentre navigava per mari sconosciuti', Cechov riuscirà -malgrado il boicottaggio delle autorità  e un clima che 'predispone ai pensieri più foschi' - a penetrare nell'inferno della katorga e a denunciare, con una precisione e un'obiettività  dietro le quali fremono pietà  e indignazione, il fallimento di un sistema dominato da ingiustizia e corruzione, e colpevole di infliggere 'il grado infimo di umiliazione sotto il quale un uomo non può scendere'. Ma riuscirà  anche a fissare nitidissime visioni di sconvolgente bellezza: le contadine che nella valle dell'Arkaj, per ripararsi dalla pioggia, si legano intorno al capo gigantesche foglie di bardana e 'sembrano scarabei verdi'; le lunghe strisce di sabbia che separano il Golfo di Nyj dal mare tetro e malvagio; i giljaki, dai larghi sorrisi beati che possono lasciare posto a un'aria 'dolorosamente pensierosa, un po' come le vedove'; le donne ainu dalle labbra tinte di blu, chine sui pentoloni come streghe a rimestare la zuppa di pesce.